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la Repubblica cantata

Pilot: Bella Ciao, oltre la Resistenza

Oggi, in occasione della Festa della Liberazione, raccontiamo di Bella Ciao, il canto popolare italiano più diffuso nel mondo.

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"È evidente che oggi Bella Ciao abbia assunto significati diversi da quelli che normalmente le attribuiamo. Non appartiene più solo al passato, ma è una canzone che ha sempre affermato la sua attualità. E continua a farlo."

Sta finendo il 2017. Le pagine dei giornali sono piene di cronache tetre, dalle uscite infelici di Trump agli infiniti dibattiti sulla Brexit, dai timori legati all'emergere di nuovi nazionalismi europei a quelli prodotti dalla marea populista, dal terremoto del centro Italia ai gilet gialli. Insomma, un susseguirsi infinito di prime pagine che ogni giorno sembrano più  catastrofiche.

In questo quadro si inserisce La Casa di Carta.
Il suo titolo originale è La Casa de Papel ed è una serie tv spagnola ideata da Álex Pina per Antena3 e acquistata da Netflix, che ne aveva compreso l’enorme potenziale, e che, dopo un lavoro di taglia e cuci, distribuisce in due stagioni in tutto il mondo. Inutile dirlo: la serie esplode e diventa popolare ovunque. Ma perché?
Per il senso di ribellione che rappresenta il filo conduttore dell’intera narrazione? Per i forti momenti d’azione? O per i facili simbolismi alla portata di tutti? Ci sono una tuta rossa, una maschera con il volto di Dalì, ma protagonista assoluta è la canzone Bella Ciao.

Sì, quella Bella Ciao, proprio quella che tutti più o meno in Italia conosciamo come la “canzone dei partigiani” e che siamo soliti intonare e fischiettare durante il mese di aprile. La stessa che, nel nostro immaginario collettivo, sembrava una canzone solo nostra: nata, cresciuta e alimentata per ricordare e non far spegnere il fuoco della Resistenza. 

Ma come e, soprattutto, perché è finita all’interno di una serie tv spagnola che parla di una rapina alla Zecca di Stato di Madrid?
A risponderci, in prima battuta, è la voce di Tokyo, una delle protagoniste, che ci dice subito come stanno le cose: 

La vita del professore girava intorno a un’unica idea: Resistenza. Suo nonno, che aveva combattuto i fascisti al fianco dei partigiani, gli aveva insegnato questa canzone, e lui l’aveva insegnata a noi.
Tokyo, La Casa di Carta, 1x13

In una semplice frase si incardina il filone portante della serie, ovvero la Resistenza: certo, non la nostra contro i fascisti, ma una resistenza più universale, generalizzata nel confronto tra oppressi e oppressori. Viene compiuto un passaggio ancora più intelligente e “furbo”: ci viene detto che il nonno del Professore era un partigiano, uno dei buoni, e che l’aveva insegnata al nipote. Diciamo "furbo" perché è ovviamente quello che è successo a tanti di noi e la rappresentazione di questo passaggio ci fa comprendere con più larghe vedute il punto di vista di un nipote che sale sulle spalle del proprio nonno e combatte per i suoi stessi ideali di libertà.

Ed ecco a voi la ricetta di un vero fenomeno mondiale. I social si sono riempiti della nuova versione della canzone, che aveva il fascino di qualcosa di familiare ma non approfondito, un'eco lontana che diventa il vettore perfetto per una campagna e una strategia di marketing a tappeto. E funziona, funziona davvero! Inaspettata, forse, è stata proprio la forza ideologica che il brano sembrava riacquistare, mentre le opinioni si dividevano tra chi era a favore di questo uso e chi no: “è una canzone di tutti!” “è una canzone con una importanza storica ben definita” “questa è strumentalizzazione!” riassumendoli questi potrebbero essere i filoni di pensiero principale.

In medio stat virtus, diremmo noi. Vero, anche alla luce delle ragioni che hanno portato il brano ad essere all'interno della serie. Così ha spiegato la sua scelta lo sceneggiatore Javier Gomez Santander, che aveva sentito per la prima volta la canzone da un suo compagno di studi, uno studente italiano in erasmus in Spagna.

La parte che colpisce di questa dichiarazione è il modo in cui la canzone è stata trasmessa: con una chitarra, suonata tutti insieme. Non è un dettaglio da sottovalutare e non è banale, perché tanti di noi potrebbero riconoscersi in  quel fermo immagine. 

"Mi piace il significato di questa canzone, la lotta che porta con sé. Un giorno mi sono svegliato con il pensiero fisso della serie che mi tormentava e ho deciso di metterla su. Ho capito che Bella ciao e La Casa di Carta condividevano l'anima. Ho gridato: siamo partigiani"

E a questo punto è chiaro il simbolismo della canzone, che non è solo la Bella Ciao italiana, ma un vero inno mondiale. C’è sempre un punto del pianeta dove viene intonata per qualcuno o qualcosa, e che la Casa di Carta abbia dato il via a una riscoperta e ad un dibattito non deve essere visto per forza come una appropriazione negativa. 

Altra cosa è invece prendere consapevolezza dei fenomeni che si sono diramati da un contenuto così pop come questa serie tv. Risulterebbe infatti strano o impossibile escluderla dai fattori che hanno portato il diffondersi in tutto il mondo di remix ballabili in discoteca. Dalle prime riproposizioni sul web con testi diversi, fino ad arrivare alla consolle dei dj Hardwell e Maddix al Tomorrowland, dove ha fatto ballare migliaia di persone.

Una trovata ossimorica? Sì e no. Una canzone di solito unisce, connette le persone, le avvicina. Pensarla in un’ottica del genere forse ci consente di capire semplicemente che ancora una volta la canzone è sopravvissuta e riemersa in questo modo, portandosi in avanti e diffondendosi tra i nuovi giovani. Ballata in remix o cantata con la chitarra davanti al fuoco, cosa cambia se il messaggio passa lo stesso? Di base nulla, tutto sta a capire cosa effettivamente sia permeato.

"Insomma, era un momento di profonda trasformazione politica e Bella Ciao risuonava nelle case, grazie alla televisione. "

Torniamo a noi: nell’immaginario collettivo, Bella Ciao è Resistenza, un brano universale che riesce a viaggiare e diffondersi attraverso ogni generazione, entrando nelle case di “tutte le genti che passeranno” e che sono già passate. Un passaggio di testimoni che è avvenuto grazie a manifestazioni, eventi, adattamenti del testo con protagoniste molte di quelle figure che hanno saputo influenzare e dominare ogni epoca. Tra questi c’è sicuramente Giorgio Gaber.

Nel 1963 fu lui, infatti, a portare Bella Ciao per la prima volta in tv nel programma RAI Canzoniere Minimo, che racchiudeva un’antologia di canzoni popolari curata da Umberto Simonetti e dello stesso Gaber. Il format andava in onda sul Secondo Canale alle 22.10, un orario scomodo, considerando il contesto della televisione negli anni Sessanta, conseguenza dell’influenza della Democrazia Cristiana, che in quegli anni era la forza politica principale con il Partito Comunista all'opposizione, e che aveva il controllo della RAI stessa.

L’azione diretta della politica non si limitò a questo, ma caratterizzò anche la rielaborazione della canzone. Perché, in quel 19 ottobre 1963, anche una parte del brano fu estromessa dalla messa in onda, in particolare l’ultima strofa “E questo è il fiore del partigiano morto per la libertà”.
Portando determinate canzoni sullo schermo per la prima volta, si sentiva ovviamente il bisogno di spiegarle al pubblico, ed era quello che faceva Radio Corriere TV, che a poche ore dalla messa in onda scriveva:

«Le canzoni che il programma presenta quest’oggi sono nate da temi popolari, da episodi della vita di ogni giorno, da sentimenti patriottici; sono motivi nuovi o quasi dimenticati che ricordano in musica fatti realmente accaduti. Ecco infatti questo motivo ispirato alla lotta partigiana che ha per titolo “Bella ciao”. Il protagonista si sveglia una mattina e trova che il suo paese è stato invaso. Allora spera che i partigiani lo vengano a salvare e lo portino con loro. Ma potrebbe anche morire: “E se io muoio da partigiano, o bella ciao, o bella ciao, tu mi devi seppellir”»
giorgiogaber.org

Nel 1967, poi, Gaber pubblicò la canzone, in formato integrale, nell’album Collezione Singoli.

Facciamo un grande passo in avanti. Siamo negli anni Novanta, gli anni in cui la storia sembra rimettersi in moto: è appena caduto il muro di Berlino, una guerra civile dilania la Jugoslavia e le truppe Onu, guidate dagli Stati Uniti, scatenano una "tempesta nel deserto" iracheno. Negli Stati Uniti un'autobomba devasta il World Trade Center, quasi una premonizione dell'attentato del 2001. In Italia sono gli anni in cui la violenza della Mafia è palese e spaventosa, gli anni delle uccisioni dei giudici Falcone e Borsellino, dello scandalo “Mani Pulite”, della cattura di Totò Riina.
In questo clima, nel 1993 i Modena City Ramblers, un gruppo musicale fortemente influenzato dalla musica irlandese e da quella emiliana, pubblicano Combat Folk. L’album, che i più collegheranno a Combat Rock dei Clash, conteneva anche canzoni a tema politico, tra cui proprio Bella Ciao. Il gruppo folk è noto per rielaborare testi dal forte significato con l’utilizzo di diversi strumenti musicali, riuscendo comunque a mantenere in primo piano il messaggio della canzone: proprio in Bella Ciao l’uso del bouzouki dà ancor più ritmo alla canzone, creando spazi unicamente strumentali e rendendo il testo ancor più ballabile. Sono note soprattutto le versioni cantate dalla band in occasione delle diverse edizioni del Concertone del Primo Maggio in Piazza San Giovanni a Roma. In particolare, si ricordano quella del 2004, la prima volta, quella del 2007, quando fu il brano di apertura della giornata con la voce di Paolo Rossi, quella del 2011, con una apprezzata introduzione di Neri Marcorè.

Testimonianza dell’universalità della canzone è data dall’esistenza di numerose versioni di Bella Ciao anche oltre i confini italiani. Ad esempio, la versione reggae con il testo spagnolo elaborata da Manu Chao nel 1999.

E, ancora, quella di Goran Bregovic, che dà al brano un ritmo tutto balcanico che ha conquistato il pubblico con diverse esibizioni dal vivo, come quella di Parigi del 2013.

Nel 1969 Bella Ciao aveva messo piede in terra slava grazie al cinema di Hajrudin Krvavac, che nella pellicola “Most” aveva inserito una scena in cui un partigiano, interpretato da Boris Dvornik, intonava il canto nato in Italia un ventennio prima.

E poi, ancora, negli anni Ottanta, un gruppo punk croato, KUD Idijoti, aveva rielaborato la canzone nel delicato contesto della crisi dei valori socialisti in Jugoslavia. È in questo momento che il bosniaco Bregovic rispolvera Bella Ciao a modo suo. 

Bella Ciao è diventata, nel corso degli anni, anche la melodia della lotta al cambiamento climatico. Melodia, ma non testo, è bene sottolinearlo. Dal 2012, infatti, Sing for the Climate riecheggia in tutte le manifestazioni ambientaliste. Il nuovo inno nasce in Belgio come iniziativa promossa dal regista e attivista Nic Balthazar, con un testo che richiama all’azione per costruire insieme “un futuro migliore partendo subito nel farlo”, riprendendo le parole della canzone. Nel 2018, gli studenti di una scuola di Istanbul, Çevre Koleji, si sono riuniti per cantare questa versione riportandola al centro dell’attenzione e facendola circolare ancor di più attraverso il web e i social media. Sing for the Climate è rimasto al centro dell’attenzione anche grazie alla figura di Greta Thunberg, come dimostra una manifestazione tenutasi a Torino con lei presente.

Torniamo in Italia: il 25 aprile 2019, i Marlene Kuntz e Skin hanno pubblicato una loro rivisitazione di Bella Ciao, mantenendo assoluta fedeltà al testo, ma con un ritmo più lento. Il frontman Cristiano Godano presentando il brano ha detto:

«Bella Ciao è un canto per la libertà, il canto di tutti. Noi invitiamo le persone ad abbracciarsi, non a dividersi, e la libertà è il presupposto principale per avere lo stato d’animo positivo e buono per farlo. Non si tratta di buonismo, e nemmeno di avere soluzioni in tasca a problemi enormi destinati a diventare sempre più complessi, ma di avere la mente predisposta a sentimenti di pace, a comprendere gli altri, a cercare soluzioni umane per tutti, a mantenere la calma. Bella Ciao dunque è l’emblema della resistenza nei confronti di una deriva che consideriamo portatrice di tensioni. E, dal nostro punto di vista, di valori ben poco poetici. E siccome la poesia piace a tutti, facciamo in modo di essere coerenti con questo slancio poetico insito nell’essere umano»
https://www.rockol.it/news-703101/i-marlene-kuntz-e-skin-hanno-rifatto-bella-ciao

In questo caso, a colpire è anche e soprattutto il video, realizzato a Riace, città simbolo dell’accoglienza, nota alle cronache per il caso dell'ex sindaco Mimmo Lucano, che presenta come protagonisti persone di etnie diverse. Il ricavato delle vendite del disco e del 45 giri è stato devoluto proprio al Comune di Riace.

“La famiglia dei vigili del fuoco è senza confini. In questo momento difficile, vi inviamo con tutto il cuore, forza, amore, speranza con questa canzone. Siamo sempre con voi. Solidarietà’”

Si apre così il video dei Vigili del Fuoco inglesi della Fire Brigades Union, un sindacato con oltre 40 mila iscritti, che nell’aprile 2020 hanno mostrato solidarietà al popolo italiano, in lotta contro il Coronavirus, cantando con assoluta fedeltà il testo di Bella Ciao e portando la loro vicinanza ai colleghi sul territorio del Bel Paese e a tutte le forze dell’ordine impegnate nel contrastare la pandemia. Bella Ciao è intesa come canzone di vicinanza e di resistenza, in questo caso di fronte ad un nemico invisibile, ben diverso da quello che si presentava di fronte ai partigiani negli anni Quaranta. Immediata la risposta del Corpo Nazione dei Vigili dei Fuoco italiano con un tweet: “Solidarietà oltre i confini”.

"Ricordiamolo, la Resistenza fu un movimento animato da forze molto diverse tra loro, sia per orientamento politico che ideologico."

Ok, l’abbiamo nominata tante volte. La storia la sapete, e se non la sapete potete sempre ripassarla qui:

I sogni dei partigiani sono rari e corti, sogni nati dalle notti di fame, legati alla storia del cibo sempre poco e da dividere in tanti: sogni di pezzi di pane morsicati e poi chiusi in un cassetto. I cani randagi devono fare sogni simili, d'ossa rosicchiate e nascoste sottoterra.
I. Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno

Attraverso le parole di Italo Calvino possiamo capire quale potesse essere la vita nelle brigate partigiane.

La Resistenza armata, infatti, dopo una prima fase più spontanea, cerca di darsi un'organizzazione di tipo militare, accorpando i diversi gruppi o bande in brigate: in un secondo tempo, le brigate iniziano a distinguersi tra loro anche in base al colore politico, sebbene l'adesione ad una ideologia non fosse un obbligo: i comunisti, così, sono inquadrati per la maggior parte nella Brigata Garibaldi, i socialisti nella Brigata Matteotti, e così via.
Vista la natura inizialmente spontanea e non organizzata del fenomeno, i partigiani erano dotati di scarso equipaggiamento; ogni formazione non adotta divise, ma veste in modo disparato e utilizza fazzoletti colorati di riconoscimento: rossi nelle formazioni garibaldine, verdi nei reparti di Giustizia e Libertà, azzurri nei gruppi autonomi. 

La Resistenza italiana, esattamente come le omologhe europee, inizialmente non è un fenomeno di massa. Vi sono delle divisioni interne dovute alle diverse anime che la compongono e, soprattutto, grande incidenza hanno le ritorsioni che i tedeschi attuavano nei confronti delle truppe sconfitte, che non riguardavano solo i militanti, ma anche i civili. 

Tra le più rilevanti formazioni partigiane, vogliamo menzionare la Brigata Maiella, o Gruppo Patrioti della Maiella, formatasi proprio sulle nostre montagne, quelle d’Abruzzo. La regione, attraversata dalla linea Gustav, era teatro di numerosi soprusi sui civili da parte dei nazisti che cercavano, in questo modo, di bloccare l’avanzata degli Alleati. Nascono qui i primi gruppi autonomi di partigiani, tra cui la Brigata Maiella. A capo della compagine c’era l’avvocato Ettore Troilo, proveniente da Torricella Peligna, nel chietino, e al suo fianco Domenico Troilo, di Gessopalena. Si costituisce come unione di vari gruppi partigiani già nell'autunno del 1943, e dall'inizio dell'anno successivo coopera attivamente con i reparti alleati come Corpo dei volontari della Maiella. 

Nonostante gli orientamenti politici differenti (Ettore Troilo era socialista, mentre Domenico era comunista), la Maiella non dipende direttamente da nessuno dei partiti del CLN. Infatti, l'apoliticità rappresenta un’importante caratteristica della formazione.

L’azione della Brigata Maiella assume una dimensione ancora più importante quando interviene nella lotta per la liberazione di altri territori, oltre il proprio: è infatti impegnata nelle Marche, in Emilia Romagna e in Veneto, contribuendo alla liberazione di Bologna il 21 aprile 1945.

Infine, la Brigata è l'unica formazione partigiana decorata con la medaglia d'oro al valor militare alla bandiera, ed è attualmente conservata nel Sacrario delle Bandiere presso il Vittoriano a Roma.

Lo storico Claudio Pavone, che aveva combattuto tra le fila dei partigiani, nel 1991 pubblica un saggio dal titolo Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, dove individua tre chiavi di lettura del fenomeno: una guerra patriottica, in cui i partigiani lottano contro l’ "invasor"; una guerra di classe, denotata da correnti comuniste e socialiste contro la borghesia; una guerra civile, quella tra fascisti e partigiani, entrambi italiani. Proprio quest'ultima chiave di lettura è stata oggetto di critiche e dibattiti da parte degli intellettuali. In particolare lo scrittore e partigiano Nuto Revelli disse che non fu una guerra civile nel senso pieno del termine perché i fascisti per noi erano degli stranieri, come e forse più dei tedeschi. La replica di Pavone: "Questo suona come una conferma delle pagine in cui cerco di chiarire come sia tipico della guerra civile l'atto di privare l'avversario della nazionalità".
Oggetto di questo lavoro è infatti lo studio della cultura, delle passioni e dei dubbi che alimentavano l'Italia dopo l'armistizio dell'8 settembre del '43, in cui si scontravano proprio politica e morale.

"Il rosso è un colore che mi dona parecchio, ma la mia indole è un’altra."

Bella Ciao diventa, dunque, il simbolo della Resistenza. Tuttavia, risalire ad un’origine univoca del canto è un’impresa alquanto difficile: in realtà, sembrerebbe che non fosse poi tanto diffusa durante i mesi del conflitto e che i partigiani (o, almeno, una parte di essi) le preferissero l’altrettanto conosciuta e diffusa Fischia il vento. Allora perché ne è diventato il simbolo? Da dove arriva esattamente? Non a caso, Carlo Pestelli dice: «Bella ciao è una canzone gomitolo in cui si intrecciano molti fili di vario colore».

Perciò, per risalire al bandolo della matassa e ricostruire la tela, e tenendo sempre ben presenti le radici popolari del brano, bisogna partire proprio da Fischia il vento.

Nel 1960 viene pubblicato un canzoniere dedicato ai canti della Resistenza italiana, a cura di Roberto Leydi, in cui Fischia il vento viene descritto come l’inno della resistenza più famoso: il brano era stato scritto da un giovane medico e partigiano, Felice Cascione che morirà poco dopo durante un rastrellamento nazista, sulle note di una canzone russa di qualche anno prima, Katjusa. Le parole più conosciute della canzone “a conquistare la rossa primavera/dove sorge il sol dell’avvenir” ne danno, indubbiamente, una chiara appartenenza politica e partitica ed è per questo motivo che, probabilmente, negli anni verrà scalzata da Bella Ciao diffondendosi durante la Resistenza e oltre, per quell’accenno al generico “invasor” che accontentava tutte le anime all’interno della lotta partigiana.

Il successo di Bella ciao lo si deve, tuttavia, ad un paio di fattori non trascurabili: la ripetizione delle parole “bella” e “ciao”, molto facili da memorizzare, e il ritmo semplice che può essere accompagnato dal battere delle mani. E soffermandosi sul ritmo, si scopre che la melodia del brano richiama i suoni tipici delle ballate yiddish: all’inizio degli anni 2000 un ingegnere italiano, in vacanza a Parigi, acquista un cd di musiche tradizionali ebraiche. Ascoltando un brano, si ritrova quasi involontariamente a cantarci sopra Bella ciao: si tratta di Koilen, il cui autore, Mishka Ziganoff, lo aveva inciso addirittura nel 1919.

Ziganoff era un musicista di origini ebraiche nato a Odessa, aveva aperto un ristorante a New York e, contemporaneamente, lavorava come fisarmonicista di musica klezmer. Koilen era, a sua volta, un arrangiamento di un brano della tradizione yiddish, Dus Zekele koilen (una piccola borsa di carbone). In realtà, come lo storico Marcello Flores puntualizza nel suo saggio Bella Ciao, le melodie sono assai diverse se non per le note iniziali. Tuttavia, proprio quelle sparute note possono essere giunte in Italia grazie ai flussi migratori e aver contribuito, in seguito, alla diffusione della melodia finale del brano.

Per quanto riguarda il testo, invece, due canzoni che possono aver contaminato Bella Ciao sono La me nona l’è vecchierella e Fior di tomba. La prima è una canzone popolare diffusa sia in Trentino che in Veneto (probabilmente già da fine Ottocento) e racconta di una bambina che viene mandata dalla nonna a prender l’acqua da una fontana: “la me nona l’è vecchierella/la me fa ciau/la me dis ciau/la me fa ciau ciau ciau”.

La particolarità di questo brano è che, essendo una filastrocca per bambini, prevede l’accompagnamento ritmico del battito delle mani al testo, caratteristica ripresa poi anche dai partigiani. Il secondo, invece, è sì un brano della tradizione popolare, ma diffuso in Piemonte, nella zona tra Novara e Vercelli. La canzone era nota già a Costantino Nigra, diplomatico di Cavour, a partire dalla metà dell’Ottocento: probabilmente affonda le sue origini in Francia ed è giunta in Italia durante il periodo risorgimentale. Il testo racconta di una ragazza che la mattina, appena sveglia, si affaccia alla finestra e vede il suo fidanzato parlare con un’altra giovane. Disperata, minaccia di uccidersi e chiede che le venga portato un fiore sulla tomba, in modo che tutti possano riconoscere qual è il luogo dove è stata sepolta: “tuta la gent c’hai passa a sentiran l’odur/Diran: j’è mort la bela, l’è morta per l’amour!”. È una canzone d’amore, ma ha chiaramente degli elementi in comune con Bella Ciao.

Fino a questo momento, una costante della ricostruzione è il luogo geografico dove la canzone può essersi sviluppata, cioè il nord Italia.
Non è un caso, quindi, che in molti abbiano fatto risalire l’origine di Bella Ciao ad una canzone cantata dalle mondine, durante il duro lavoro nelle risaie ben prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale: nel 1962, il già citato Leydi e Gianni Bosio annotano una versione cantata dalla mondina e cantautrice popolare Giovanna Daffini, la quale afferma di conoscerla da almeno trent’anni e che era già in voga nelle risaie del vercellese.

Il brano inizia così: “Alla mattina appena alzata/O bella ciao, bella ciao, ciao, ciao/Alla mattina, appena alzata/Laggiù in risaia debbo andar”. La versione di Daffini apre e chiude lo spettacolo “Bella Ciao” durante il Festival di Spoleto del 1964, e diventa subito popolare, tanto che negli anni '70 la cantante Milva (scomparsa lo scorso 24 aprile) ne farà una cover contenuta nell’album “La filanda e altre storie”.  Qui la sua esibizione a Canzonissima nel 1971.

Lo spettacolo, e la versione del brano presentata, ha un enorme successo, tanto da venir replicato l’anno successivo in un teatro milanese. Ed è proprio in quella occasione che un compaesano di Giovanna Daffini, Vasco Scansani, invia una lettera alla redazione dell’Unità, affermando di essere lui l’autore del testo di quella versione di “Bella Ciao” e di aver consegnato le parole alla cantautrice una decina di anni prima, nel 1951 circa; Daffini – effettivamente – conferma l’episodio. Dunque, la versione di Bella Ciao che conosciamo oggi non sembrerebbe provenire dai canti delle mondine; ma Scansani è stato partigiano e afferma di aver sentito quella canzone durante i giorni della Liberazione; fatto plausibile, se si tiene conto che una versione di Bella Ciao veniva cantata dai partigiani della zona emiliana nel 1944, mentre veniva intonata anche dalla Brigata Maiella, seppur con parole leggermente diverse: in una lettera inviata al Corriere della Sera nel 1996, un ex combattente della brigata Ivan Proserpi, scriveva che i versi intonati dai partigiani abruzzesi parlavano di un “primo amor” invece che di un invasore, per poi terminare il brano con “è questo è il fiore della Majella/del patriota che morì”.

È indubbio che una univocità nella ricostruzione delle origini della canzone non esiste. Tutto ciò fin qui detto è vero, così come potrebbe essere vero anche il suo contrario. Una cosa, però, è certa: Bella Ciao fa parte del patrimonio popolare e, come tale, ha origini sia dai canti partigiani scritti e cantati durante la guerra che a loro volta attingevano da canti e suoni della tradizione folkloristica locale, sia dai canti di matrice sociale come quello delle mondine. Proprio il fondamento popolare regala un’altra versione di Bella Ciao, quella di Giovanna Marini e Francesco de Gregori, contenuta nell’album “Il fischio del vapore”, del 2002: l’album è una raccolta di canti della tradizione popolare e vede al suo interno anche note storiografiche per meglio comprendere i testi e i brani. La versione proposta è, ovviamente, quella delle mondine.

"perché qualcuno qui da noi continua a considerarla una canzone solo “di sinistra”? "

«Bella Ciao racconta [...] una vicenda umana e corale, applicabile a ogni movimento di resistenza europea, incentrata non su un esercito o su una brigata in particolare, ma su un singolo uomo, martire di quella tragedia continentale che fu il nazifascismo»
(Pestelli, 2016, p.62).  

Pensare che il successo di Bella Ciao vada di pari passo con la consapevolezza di cosa sia stata la lotta di liberazione è un errore. In Italia, ogni anno, in occasione del 25 aprile, Festa della Liberazione, la canzone costituisce spesso il pretesto per polemiche legate ad una politicizzazione comunista della Resistenza e, di conseguenza, di Bella Ciao stessa.

Come abbiamo già visto, al contrario di Fischia il vento, Bella Ciao non ha riferimenti politici espliciti, il ché l’ha resa universale. Durante la Prima Repubblica, però, inizia un crescente processo di appropriazione (lecita o illecita: ai posteri l’ardua sentenza), che porta ad una equazione tanto semplice quanto sbagliata: Bella Ciao = solo comunisti.

Nei primi anni Sessanta, i giovani, che cercavano un’alternativa al socialismo, rifiutano la visione unitaria della Resistenza, tant’è che uno degli slogan del Sessantotto fu «la Resistenza è rossa e non Democristiana». 

Nel 1964 va in scena al Festival dei Due Mondi di Spoleto uno spettacolo intitolato Bella ciao, con l’esecuzione dell’omonimo canto partigiano sia in apertura che in chiusura. Lo spettacolo desta polemiche e scandali a causa di una frase del canto della Prima Guerra Mondiale “O Gorizia tu sei maledetta”.

Il copione, che prevede che a esibirsi sia Sandra Mantovani, taglia la frase controversa «Traditori signori ufficiali che la guerra l’avete voluta, scannatori di carne venduta e rovina della gioventù»: a causa di un abbassamento di voce, Mantovani viene sostituita da Michele Straniero, che intona la canzone nella sua versione originale, quindi senza censura. Il cantante viene denunciato per vilipendio delle forze armate e, da quel momento, lo spettacolo intero diventa oggetto di attacchi preordinati di militanti di estrema destra. Ed è da qui che la canzone Bella Ciao assume una connotazione prettamente antimilitarista e antifascista, proprio in opposizione a chi si era scagliato contro lo spettacolo Bella Ciao nel tentativo di ostacolarne la diffusione, in direzione opposta a un’idea unitaria e moderata della Resistenza, così come dice Flores nel suo saggio. Da questo terreno, il canto si lega inevitabilmente ad un sentimento univoco e identitario proprio della sinistra degli anni Sessanta, in particolare del Partito Comunista, e diventa inno di importanti avvenimenti. 

Nel 1960, dopo la caduta del governo Segni, la crisi politica che ne segue termina con la nascita del governo Tambroni, determinata dal voto del Movimento Sociale Italiano, diretto erede della Repubblica Sociale Italiana, quindi di estrema destra. Quasi provocatoriamente, il MSI organizza un congresso nella città di Genova, che è roccaforte dell’antifascismo. La reazione della popolazione è immediata: da qui prendono il via manifestazioni e scioperi generali che in breve tempo si espandono in tutto il Paese. Non mancarono scontri tra le forze dell’ordine e i manifestanti: a Reggio Emilia il bilancio è di cinque morti, tutti iscritti al PCI. In occasione dei funerali, il corteo è accompagnato dalle note di Bella Ciao. 

Nel 1968, il cosiddetto "anno degli studenti" con i giovani che riempiono le piazze, Bella Ciao viene intonata durante le manifestazioni per i diritti civili. Bella Ciao è anche il saluto che il Partito Comunista ha voluto dedicare ad Enrico Berlinguer il 13 giugno 1984 durante il suo funerale e al giornalista Enzo Biagi il 6 novembre 2007.

La canzone simbolo della Resistenza italiana contro le milizie naziste e fasciste è diventata per eccellenza la canzone della lotta per le libertà politiche e sociali. 

"e quindi, è vero: Bella Ciao cambia, e anche molto, a seconda di chi la canta e del periodo in cui viene cantata, pur rimanendo in qualche modo sempre sé stessa"

Bella Ciao è il simbolo di tante battaglie: è l’inno dei Curdi che a Raqqa resistono allo Stato Islamico e agli jihadisti assoldati dal presidente turco Erdogan; gli italiani l’hanno cantata davanti al Pantheon il 20 febbraio 2020 per chiedere libertà per Patrick Zaki; gli iracheni con Bella Ciao si oppongono agli USA e all’Iran; artisti di tutto il mondo l’hanno intonata nella primavera del 2020 per dimostrare solidarietà all’Italia, duramente colpita dalla pandemia. Allora, Bella Ciao assume tutta un’altra valenza. 

Bella Ciao oggi in Italia è un canto che spacca le opinioni.  Se la canti, sei comunista; se la rifiuti, sei fascista. Bianco o nero, o meglio: rosso o nero. Ma è sbagliato incatenare Bella Ciao e la Resistenza italiana ad una sola fazione. 

“Non fu una rissa tra comunisti e fascisti (...) da questa parte non bisogna dimenticare certo, che c’erano le brigate Garibaldi comuniste, ma c’erano i partigiani monarchici, c’erano i partigiani repubblicani, c’erano i partigiani democristiani. Ma Dio mio, c’era l’Italia!”
Andrea Camilleri per Servizio Pubblico, 2019, minuto 6:59

Comunisti, socialisti, anarchici, monarchici, repubblicani, democristiani; come dice Camilleri, è improprio parlare di appartenenze partitiche, perché nella Resistenza c’era l’Italia intera: uomini e donne che lottarono per la libertà di tutte e di tutti. Semplicemente, partigiani, ovvero coloro che scelgono di parteggiare, di lottare per la libertà.

E che si tratti di un popolo sotto regime, come i Curdi, oppure di rivendicare diritti umani, o ancora di una pandemia mondiale, quella del Coronavirus, Bella Ciao è emblema di unione, che accomuna chi la canta sotto un unico grido: Libertà! 

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Bibliografia

Bermani C., Bella ciao. Storia e fortuna di una canzone: dalla resistenza italiana all’universalità delle resistenze, Interlinea, 2020
Flores M. (a cura di), Bella ciao, Garzanti, 2020
Pavone C., Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Bollati Boringhieri, 1991
Peli S., Storia della Resistenza in Italia, Einaudi Editore, 2015
Pestelli C., Bella ciao: la canzone della libertà, add Editore, 2016